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10 curiosità di stile su Oppenheimer 

By Settembre 13, 2023Stile

Oppenheimer, il film del momento diretto da Christopher Nolan, è ambientato negli anni ’40 ed è incentrato sulla figura storica dello scienziato americano J. Robert Oppenheimer, interpretato da Cillian Murphy, considerato uno dei padri della bomba atomica.

 

In questo articolo del blog vi svelo alcune curiosità di stile per riflettere insieme sul fatto che le scelte dei colori e dei costumi non sono mai casuali e anzi risultano fondamentali per caratterizzare e completare i personaggi nei vari contesti proposti nella sceneggiatura.

Partiamo!

 

Cillian Murphy, che abbiamo imparato ad apprezzare nella serie cult “Peaky Blinders” (e che senza ombra di dubbio per questo film è la scelta di casting più azzeccata della storia!) indossa completi con giacca e pantaloni, camicia e talvolta gilet per tutta la durata del film. Appena arrivato a Los Alamos, però, indossa goffamente la divisa militare e viene “ripreso” dal collega Rabi che lo intima a togliersela in uno scambio di parole ironico tra i due. La battuta e il cambio giacca sono momenti significativi: attraverso il cambio di un capo di abbigliamento, che può sembrare un gesto semplice in apparenza, si trasmette il concetto che la mente di Oppenheimer ha creato la bomba atomica per un fine scientifico e non militare. “Siamo scienziati, non soldati”.

 

Già dalle scene iniziali, possiamo notare che gli uomini di scienza indossano sempre completi scuri e sono vestiti in modo più raffinato rispetto agli altri personaggi: abbondano infatti dettagli come panciotti, orologi da taschino, cravattini particolari e catenelle. Il panciotto, in particolare, è un must have dell’abbigliamento maschile degli anni Quaranta. Il viso è sempre sbarbato, spesso con gli occhiali, il taglio di capelli molto pulito e lineare. Insomma, parola d’ordine: Eleganza.

 

Al contrario, il generale Leslie Groves (interpretato da Matt Damon) indossa sempre abiti militari, nelle nuances della terra. La scelta del colore, appunto, “militare” per i soldati deriva dalla necessità di mimetizzarsi in trincea…del resto, il suolo di Los Alamos non si discosta molto da quello su cui avviene la guerra vera e propria. Nella scena in foto, nel deserto di Los Alamos, i personaggi si confondono con lo sfondo e infatti Oppenheimer indossa il colore più tenue di tutto il film, che ci ricorda il “greige” di Armani, un colore tra il tortora e il beige. Considerando che si tratta di un colore che suscita ordine ed equilibrio, potete ben capire che la scelta non sia stata casuale. Ma non è tutto! Los Alamos in questa fase era per Oppenheimer una seconda casa, il centro del suo mondo, il posto dove si stavano concretizzando anni di studio e di carriera e dove è nata e cresciuta la sua famiglia con la moglie Kitty. Il suo fondersi con l’ambiente circostante diventa quindi estremamente affascinante e significativo.

 

In questa scena il colore si fa metafora delle emozioni: quando la folla applaude Oppenheimer dopo Hiroshima e Nagasaki, i vestiti di chi lo acclama sono un’esplosione di colori, in contrapposizione alla prevalenza di nuances piatte e cupe nelle scene precedenti. È proprio in questo momento, infatti, che il protagonista esternalizza il suo conflitto interiore: invece di sentire le lodi e godere del suo successo, nella sua testa ci sono solo le urla, i pianti, i cadaveri carbonizzati, i rumori dell’esplosione. L’esplosione cromatica della scena va di pari passo con la sua implosione interiore: è l’inizio di una vera e propria metamorfosi, di cui parleremo più avanti.

 

C’è un momento in cui i colori (che, ripetiamo, non sono mai sgargianti, né tanto meno pastellati) si scuriscono ulteriormente: durante l’istruttoria sul suo conto, Oppenheimer e la moglie adottano uno stile estremamente elegante che al contempo ci riporta in una condizione di lutto e sofferenza. La commissione, invece, è caratterizzata da uno stile piatto (dato dal grigiore diffuso degli abiti) e del tutto anonimo. È così che il look completa i personaggi: siamo attratti inequivocabilmente dal fascino di Robert Oppenheimer per tutta la durata del film e ci sentiamo invece distaccati dalla commissione sgradevole e priva di charme.

 

La fotografia del film ha colori più freddi quando ritrae gli scienziati all’opera, per simboleggiare la loro razionalità, mentre adotta colori più caldi nelle esplosioni, a simboleggiare non solo il fuoco ma anche l’imprevedibilità e l’incapacità di controllo.

 

Dal primo frame che ritrae Albert Einstein, è evidente che il film (per fortuna) non abbracci il binomio genio/sregolatezza oppure geniale/trasandato e infatti egli non viene ritratto come nella famosa foto con i capelli scompigliati e una smorfia buffa, ma appare molto composto, discreto e pacato. Una scelta di stile per rafforzare il contrasto tra l’ordine dei personaggi e la cosa che crea più caos e devastazione di tutte: la bomba atomica.

 

Quando Oppenheimer viene ritratto nella sua vita “pre-bomba”, innamorato di Jean Tatlock, ha un look dai colori più chiari, indossa un bel grigio perla luminoso. Se ci fate caso, è l’unico frame in cui sorride in modo disteso e sereno. Giunto a Los Alamos, l’abito si farà scuro, il viso cupo, la personalità tormentata. È curioso come più si va avanti nella storia, più i colori si scuriscono e si raffreddano, anche il suo incarnato, perché la metamorfosi è non solo interiore ma anche esteriore e l’utilizzo dei colori aiuta a sottolineare il suo stato d’animo.

 

Il fatto che Oppenheimer sia così elegante non deve sorprendere poiché suo padre Julius gestiva un’azienda newyorkese di importazione di tessuti e aveva tramandato al figlio il suo buon gusto. Ci sono due elementi chiave del look di Oppenheimer che, sono pronta a scommetterci, sarà il più copiato del prossimo Carnevale: il cappello e la cintura. Il cappello rappresenta il suo amore per il New Mexico ed è un modello particolare, un mix tra un fedora e un cappello da cowboy. La costumista Ellen Mirojnick ha dichiarato di aver fatto una lunga ricerca e di aver trovato il cappello perfetto solo da Baron’s Hat a Los Angeles: in grigio/tortora cangiante a seconda della luce, dalla tesa particolarmente strutturata che doveva dare una precisa sensazione al tatto. La cintura, invece, ha una particolare fibbia in argento con inserti turchesi, disegnata da un indigeno, che il team dei costumi ha ricreato sulla base di una fotografia d’archivio. Usava quella fibbia per il fiammifero con cui accendeva la sua pipa: sono proprio questi dettagli che gli conferiscono un’aria da cowboy. Ma non solo: questi capi di abbigliamento insieme agli accessori contribuiscono a dargli un look estremamente seduttivo, che rispecchia la sua fama di donnaiolo nella sua vita reale.

 

Il personaggio di Lewis Strauss è molto elegante, ma a tratti risulta eccessivo con tutti i suoi leziosi papillon, cravattini, fazzolettini e pochettes da giacca. Un’ostentazione del lusso e dell’eleganza che, dal mio umile punto di vista, nasconde una profonda insicurezza e un senso di rivalsa. Se ci pensate, è proprio un rimando alla moda e all’abbigliamento che accende la competizione tra i due: “un umile venditore di scarpe”, lo definisce Oppenheimer. “Venditore di scarpe e basta”, risponde Strauss risentito, dietro al suo look pomposo.

 

Disclaimer: le immagini appartengono ai legittimi proprietari, sono state reperite sul web (fonte: Pinterest)

One Comment

  • Euglena ha detto:

    Complimenti! Come sempre sei fantastica e ci aiuti sempre di più a valorizzare l’apparenza ma che realmente dimostra tanto tanto della personalità ☺️☺️

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